Dalla Casa di reclusione di Paliano, il 30.3.1987, Cristiano scriveva a questo Ufficio:
“Egr. Dott. FALCONE
Le scrivo perché non sono sereno, non riuscendo a scindere
la verità dalla falsità rendendomi conto di essere stato influenzato da una serie di fattori che mi hanno portato a fare le dichiarazioni che ho reso davanti a Lei, oggi, dopo aver riflettuto a lungo non me la sento di confermare le suddette dichiarazioni.
Non è facile per me accusare mio fratello di un reato così grave ed è proprio per questo che devo avere l’assoluta certezza di quello che ho detto e purtroppo non avendola non riesco ad accettare l’idea di accusarlo su storie che non ho vissuto di persona e perciò non posso fare altrimenti, devo rendere conto anche alla mia coscienza e alla mia famiglia, gradirei parlarle di persona quando capiterà a Roma per lavoro”.
Il senso della lettera, già facilmente intuibile per i suoi riferimenti alle responsabilità affettive verso il fratello e la famiglia, è dolorosamente messo in chiaro nel successivo interrogatorio.