AL P.M. DI BOLOGNA IL 4.3.1988 (Fot. 850002 Vol. XLVII)
“Intendo spontaneamente riferirete chiarire talune questioni che in questi giorni mi hanno agitato. Preciso che si tratta di vecchi nodi che io non sono riuscito a risolvere e che mi hanno portato ad una parziale ritrattazione avanti la Corte di Assise di Bologna.
Io avevo già detto al Dr. FALCONE che non avrei retto nel confermare le mie accuse in presenza di mio fratello Valerio. Avevo anche chiesto a detto giudice di Palermo di avvertirLa di questo, se possibile, poiché io già sapevo che non avrei retto nell’aula della Corte di Assise di Bologna alla presenza di mio fratello.
Oggi però avverto l’esigenza di affrancarmi da una tale mia subalternità e condizionamento nei confronti di mio fratello, verso cui continuo a nutrire sentimenti di profondo affetto.
Per fare ciò devo necessariamente spezzare un’altra serie di affetti e di rapporti collegati a tutta la mia vicenda terroristica. In particolare, devo dire che attraverso mio padre rimbalzano su di me continuamente pressioni affinché io ritratti le mie dichiarazioni.
Per ragioni che non conosco, taluni legali sono convinti che io sappia molto più di quanto non abbia già dichiarato, il che peraltro mi porta ad avere comprensibili preoccupazioni.
Io, sia pure in maniera sofferta e graduale, liberandomi progressivamente da una serie di affetti famigliari, sono riuscito a realizzare una collaborazione leale con le varie Autorità giudiziarie.
Viceversa, l’avvocato CERQUETTI, dichiarandosi convinto che io avessi sempre confessato reati non commessi in riferimento alle accuse da me rivolte a mio fratello sull’omicidio PECORELLI e per l’omicidio MATTARELLA, ha detto a mio padre che si trattava di accuse false che io avrei dovuto ritrattare.
L’avvocato CERQUETTI, nel dire ciò a mio padre, sosteneva che «i Giudici di Bologna non mi avrebbero mai fatto uscire dal carcere se io non avessi riferito loro che Valerio era responsabile della strage di Bologna».
Aggiungeva anche che
«i Giudici di Bologna si servivano di IZZO per raggiungere il loro scopo, che era quello di accusare Valerio e di mettere me sotto pressione perché io dicessi loro le cose che volevano che io ammettessi».
Ho ricevuto per anni tante e tali di queste pressioni che alla fine mi sono convinto che effettivamente questo gioco ai miei danni fosse stato realizzato.
Avvertivo l’esigenza di chiarire con Lei quanto mi è capitato ed ecco il motivo per cui ho chiesto di parlarLe di queste mie vicende personali.
Intendo poi spontaneamente rivelare un altro episodio che mi è capitato durante la mia detenzione presso il Reparto Operativo dei Carabinieri di Roma. Era il febbraio 1983; SORDI era stato arrestato da poco ed aveva iniziato a collaborare riferendo particolari sull’omicidio PECORELLI. Io, per esigenze istruttorie, fui portato presso il Reparto Operativo dove c’era anche SORDI e qui venni sottoposto a numerosi interrogatori.
In questo periodo mi venne più volte chiesto cosa io sapessi dell’omicidio PECORELLI, evidentemente a seguito di quanto aveva detto sul punto SORDI. Mi sembra di ricordare che io mai avevo detto nulla su tale episodio, anche se io avevo sempre nutrito seri dubbi che mio fratello c’entrasse in tale omicidio, oltre che in quello di un uomo politico assassinato in Sicilia, che solo in un secondo momento seppi trattarsi dell’onorevole MATTARELLA.
Successivamente, nel 1986, sarò molto più esplicito su tali episodi con i Giudici di Roma e di Palermo.
Nel 1983, invece, al Reparto Operativo fui molto più defilato. Ciò perché mio fratello aveva confessato numerosi omicidi ma non quei due, il che mi faceva capire che c’era qualcosa di oscuro in tali episodi che mio fratello voleva coprire e che io non intendevo svelare anche perché non conoscevo i retroscena.
Sempre in quel periodo il mio legale, l’avvocato Maurizio DI PIETROPAOLO, mi chiese più volte cosa sapessi dell’omicidio PECORELLI durante i nostri colloqui. Io gli dissi che non ne sapevo nulla. L’avvocato DIPIETROPAOLO mi disse che se io avevo interesse a restare al Reparto Operativo e a non rientrare in carcere potevo dare ai Giudici un «contentino».
Gli chiesi cosa intendesse per «contentino», dal momento che io gli avevo riferito di non saper nulla di tale omicidio ed egli mi rispose: «nel caso ne parleremo».
In pratica, io capii che il mio legale voleva incanalare le cose per favorire qualcuno o per giochi ed interessi che mi sfuggivano ed ai quali io ero certamente estraneo.
Quando chiesi a mio padre, dopo le rivelazioni, di CALORE e SODERINI, se realmente il mio avvocato lo avesse avvicinato per la vicenda PECORELLI, mio padre mi rispose che ciò non era vero. L’avvocato DIPIETROPAOLO mai nessun accenno mi fece all’omicidio MATTARELLA.
Mio padre mi disse che l’avvocato CERQUETTI gli aveva poi spiegato che se io avessi ritrattato le mie dichiarazioni sui due omicidi ed avessi affermato che si trattava di circostanze false nessuno avrebbe potuto togliermi i benefici di legge di cui avevo già usufruito con sentenze definitive e tutt’al più avrei potuto andare incontro ad una pena non superiore ai due anni di reclusione per calunnia e favoreggiamento.
Anche ultimamente, in occasione del processo per l’omicidio DI LEO, l’avvocato CERQUETTI, difensore di Donatella DE FRANCISCI, mi ha invitato, sempre attraverso mio padre, a ritrattare le mie dichiarazioni; dico meglio: in occasione del processo DI LEO (febbraio ’88) nel quale io ero imputato, confesso e chiamante in correità (avevo riferito a PEDRETTI, dopo un colloquio con la Donatella DE FRANCISCI, che era tutto pronto per ammazzare il giornalista CONCINA, che gli appostamenti erano stati positivi e che in settembre si sarebbe «proceduto»), l’avvocato CERQUETTI ha avvicinato mio padre, dicendogli che si stava facendo in modo di condannarmi e di farmi perdere i benefici per una accusa di omicidio che io non avevo confessato.
Viceversa, era vero il contrario ma mio padre non lo sapeva.
Devo dire a questo punto, che se io all’udienza del dicembre ’87 non ho confermato quanto avevo riferito sugli omicidi PECORELLI e MATTARELLA è stato per questo clima che l’avvocato CERQUETTI è riuscito a creare nella mia famiglia; in altri termini dicendo a mio padre che io ho detto il falso su tali episodi e che era necessario convincermi a ritrattarli, egli è riuscito a condizionare mio padre, che mi considera un «infame» e che è interessato solo a mio fratello, ed a fargli esercitare nei miei confronti dei ricatti morali ed affettivi.
È da anni che l’avvocato CERQUETTI porta avanti questo compito, che come ho detto è riuscito a condizionare la mia condotta processuale. Il legale invitò mio padre ad essere presente in aula per assistere a quello che io dicevo, sapendo che la sola sua presenza mi avrebbe condizionato.
A Bologna, poiché la mia deposizione slittò, mio padre presente all’udienza in cui non fui escusso e non poté essere presente quando fui interrogato. Evidentemente, però, il clima che si era già creato mi portò a quella ritrattazione sui due episodi criminosi di cui ho detto.
Quanto ho detto è determinato da una esigenza, che avverto in questo momento più forte che non nel passato, di affrancarmi da ogni condizionamento nel tentativo di conquistarmi una più completa autonomia ed indipendenza. Al momento non ricordo altro”.
Prescindendo, qui, da ogni valutazione in ordine alle motivazioni ed alle modalità degli interventi dei citati professionisti, è necessario ricordare che le dichiarazioni di Cristiano trovano riscontro in un altro episodio, richiamato nella sentenza della Corte di Assise di Bologna relativa alla strage del 2 agosto 1980, su “cointeressenze processuali” tra Licio GELLI e Valerio FIORAVANTI in relazione all’omicidio PECORELLI (su tale episodio v. “amplius” in appresso).
Con talune precisazioni, Cristiano FIORAVANTI ritorna sull’argomento nelle dichiarazioni del 21.7.1988, rese a questo Ufficio.